È questo che succede a George, un professore del college che quando perde il suo compagno di una vita in un incidente stradale non riesce più a continuare come se niente fosse la sua vita di sempre. "La mattina, ci metto un po' a diventare George", deve mettere una maschera, per nascondere il proprio dolore e affrontare a testa alta e con il sorriso il mondo. Ma anche per non dare nell'occhio, per non mostrare la sua diversità, il suo essere omosessuale, poiché nella società americana degli anni '60 certamente non era ben visto (e tuttora, c'è da sottolineare, non lo sarebbe).
La storia è struggente, Colin Firth (George) è in grado di trasmettere il dolore e la sofferenza allo spettatore con un'abilità tale da non poterlo lasciare indifferente.
La voglia di vivere ormai pari a zero, solo una manciata di persone attorno a lui che possono fargli passare qualche momento felice: la prima è una vecchia amica che lo ha sempre amato, l'altra è un suo studente, giovane e particolarmente sensibile, che inconsapevolmente gli ridarà speranza nel futuro.
Nonostante si tratti di un film drammatico, non è affatto noioso, mantenendo durante tutta la sua durata una vena quasi da commedia, facendo sorridere in molteplici occasioni, ma senza scadere mai nel ridicolo.
I temi trattati sono molto attuali ma proposti in un ambiente vecchio ormai di cinquant'anni per farci vedere che in fondo le cose non sono cambiate poi molto. La paura del diverso, la discriminazione delle minoranze sono ora come allora sentiti e reali.
In sintesi:
assolutamente, certamente, indubbiamente un esordio in grande stile.
L'eleganza e la cura dei dettagli non è un optional in questo film e del resto cos'altro ci si potrebbe aspettare da uno stilista che si mette dietro la macchina da presa?
E ancor di più non si può non rimanere colpiti al pensiero che si tratta del primo lavoro da regista di Tom Ford, a parer mio, da applaudire e a cui rendere omaggio per tanta dovizia di precisione sotto tutti gli aspetti.
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