martedì 20 aprile 2010

Al Adamson: Sette per l'infinito contro i mostri spaziali

Prendiamo due nomi a caso: Sue McNair e Al Adamson, facciamo scrivere una sceneggiatura al primo e affidiamo la regia al secondo, noto regista degli anni 70 di film di serie Z sparsi tra fantascientifici e horror.
Quello che ne esce è un delirio di 85 minuti in cui vediamo: vampiri spaziali, modellini di astronavi su sfondi di cartone, scene di qualsiasi tipo ripetute continuamente per tutta la durata della pellicola, variazioni cromatiche dell'atmosfera usate per sottomettere la popolazione di un intero pianeta, scimmie-pipistrelli, sparatorie laser negli angoli più remoti dell'universo, mostri acquatici e quant'altro di più insensato potete immaginare.

Riassumere la trama di un simile scompiglio è da considerarsi un'impresa titanica, anche dopo aver visto il film per quattro volte. Fin dai primi minuti lo spettatore si può infatti rendere conto di essere davanti a uno dei film meno sensati della storia del cinema, che inizia con attacchi apparentemente casuali di vampiri ad umani, mentre una voce fuori campo ci racconta che questi provengono da un pianeta appena scoperto dagli scienziati della Terra che stanno per avvicinarvisi per esplorarlo profetizzando una imminente fine per la loro razza...
Un attimo dopo ecco che l'azione si sposta su una di queste astronavi diretta su Astrogeos, il cui equipaggio approderà senza problemi sul nuovo nuovo mondo, lasciando però il vecchio comandante, nonché scienziato affermato, a bordo della navicella a combattere contro velivoli nemici dall'origine non molto chiara.
Astrogeos, scopriremo, è abitato da due popoli umanoidi in lotta tra loro, nonché da mostri di vario genere, il più delle volte dalle sembianze umane (per ovvi motivi costumistici) o dal vago sentore di gomma.
Fatto interessante della vicenda è che questo le viscere di questo pianeta ospitano una risorsa energetica dalle proprietà fantastiche, motivo per cui una razza aliena sta soggiogando le popolazioni locali per poterla sfruttare.

Una pellicola senza capo né coda e fatta probabilmente per il solo gusto di aggiungere un titolo alla propria filmografia o per amore del cinema senza fronzoli, che non ha un perché e non vuole averlo; quasi da paragonare ai classici catastrofici giapponesi con trama ridotta all'osso, sempre che ce ne sia.

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