giovedì 17 gennaio 2013

Lana e Andy Wachowski, Tom Tykwer: Cloud Atlas


Sei storie ambientate in sei differenti periodi storici, sei temi differenti raccontati in esse e l'unico aspetto che le accomuna sono gli attori che le recitano ed un certo pensiero di fondo ricorrente.
Un progetto cinematografico tratto dall'omonimo libro di David Mitchell, un film ambizioso pieno di enormi potenzialità, ma che purtroppo non collimano al meglio e non fanno di Cloud Atlas il capolavoro che sarebbe potuto essere.

Facciamo un pò di chiarezza, per coloro che non vogliono andare a vederlo alla cieca ed avere confusione durante le quasi 3 ore di film.

Alla regia ci sono i fratelli Wachowski (Matrix) e il regista tedesco Tom Tykwer (Lola Corre) che si sono spartiti l'unità di ripresa dei sei episodi nel seguente modo.

I fratelli Wachowski hanno diretto 3 episodi:

  • Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1849): racconta di un giovane avvocato (Adam Ewing appunto, impersonato da Jim Sturgess) dell'alta borghesia statunitense che si reca a Chatham Islands nel Sud della Nuova Zelanda per concludere un contratto a nome del suocero. I due temi di questa storia sono la discriminazione razziale e l'abolizione della schiavitù.
  • La Preghiera di Sonmi 451 (2144): si svolge a Neo Seul (Corea del Sud) in un futuro distopico e totalitarista dove il clone Sonmi 451 (impersonata da una brava Bae Doona) viene liberata da un gruppo di ribelli che vedono in lei la salvezza e la rinascita dei valori. Temi portanti di questo episodio sono i poteri sempre più forti delle multinazionali, l'insostenibilità economica e la produzione massiccia di carne per l'alimentazione umana.
  • La Storia di Zachry nelle Isole Hawaii in una dimensione post-Apocalittica (2312): qui siamo invece in un futuro che è regredito ad uno stato primitivo che idolatra la dea Sonmi e vede Tom Hanks impersonare il pastore Zachry che deve vedersela dai cannibali Kona (il cui capo è un Hugh Grant irriconoscibile) e da un demone che gli "suggerisce" cattive idee (un grande Hugo Weaving). In questa storia l'argomento principale è l'organizzazione religiosa ed il culto.

Il regista tedesco Tom Tykwer ha diretto invece questi altri 3 episodi:

  • Lettere da Zedelghem (1936): il protagonista è un giovane musicista gay di nome Robert Frobisher (Ben Wishhaw) che, in forma epistolare, racconta al suo compagno di Cambridge Rufus Sixsmith del suo soggiorno a Zedelghem, vicino ad Edinburgo, in compagnia del celebre ed anziano musicista Vyvyan Ayris (uno straordinario Jim Broadbent). Qui viene trattato il tema della discriminazione omofoba.
  • Half-Lives, il primo caso di Luisa Rey (1972): La protagonista di questo racconto è Luisa Rey (Halle Barry), una giovane giornalista che, durante una sua inchiesta circa la sicurezza di una centrale nucleare vicino a San Francisco, si troverà invischiata in una brutta situazione perchè in possesso di alcune informazioni confidenziali. Conoscerà anche un anziano Rufus Sixsmith e verrà a sapere delle lettere che Robert Frobisher gli spedita mentre si trovava in Scozia. Il tema portante è il potere delle compagnie energetiche.
  • L'orribile impiccio del signor Cavendish (2012): un anziano editore (Jim Broadbent) viene ricattato dai fratelli di uno scrittore/criminale (Tom Hanks) e chiede aiuto a suo fratello (Hugh Grant) che lo spedisce in ospizio. Qui dovrà vedersela con una stronzissima infermiera (Hugo Weaving, fantastico) e trovare un modo per fuggire da quella "prigione". Questo episodio, seppur caratterizzato da una notevole vena comica, è incentrato sulla senilità e sul becero modo della società di trattare gli anziani.

Durante il film vedrete che i numerosi componenti del cast andranno ad impersonare anche 3 o 4 personaggi diversi, in ognuno dei sei periodi storici. Questa secondo me la punta di diamante del film, perchè ci mostra quanto certi attori siano versatili (sapientemente camuffati), uno su tutti: Tom Hanks.
Cloud Atlas si pone l'obbiettivo, oltre che di trattare questi delicati argomenti, di legarli l'uno con l'altro secondo un pensiero new age, governato da termini quali il destino, la reincarnazione e i numerosi déjà-vu che colpiscono i vari personaggi all'improvviso come fossero frammenti di una vita precedente. I vari episodi non hanno tutti lo stesso pathos e vengono narrati in modo segmentato, non lineare, perciò magari non sarà del tutto facile seguirne il decorso, accorgersi dei dettagli e prestare attenzione ai dialoghi (per niente banali). Gli episodi più riusciti sono "l'orribile impiccio del signor Cavendish" e "la preghiera di Sonmi".
Purtroppo il film, per quanto spettacolare, profondo e recitato con stile; trasmette una sensazione di incompiutezza. Insomma, il cerchio non si chiude a dovere e ogni episodio risulta troppo distaccato dagli altri, nonostante la volontà di legarli l'uno con l'altro sotto il segno del destino e delle conseguenze che si ripercuotono nei secoli toccando varie persone, le cui esistenza teoricamente intrecciate tra loro da eventi passati.

In ogni caso il film va visto, magari più di una volta e la lettura del libro è caldamente consigliata dal sottoscritto. Concludo aggiungendo che Cloud Atlas, forte di un budget di 100 milioni di dollari, non è una produzione hollywoodiana, ma bensì tedesca ed indipendente.

Voto: 7


mercoledì 16 gennaio 2013

Quentin Tarantino: Django Unchained

Tarantino è tornato. Dopo il più che buono Inglourious Basterds, ora ci propone il vecchio west nella sua personale versione, che ogni tanto strizza l'occhio verso i spaghetti-western da lui tanto ammirati, ma non pensate nemmeno lontanamente che abbia voluto emularli. Era da Kill Bill vol. I che non mi esaltava così tanto un suo film. Spettacolare e bastardo, i dialoghi forse non sono all'altezza di Pulp Fiction ed è forse un bene, perché così riusciamo ad apprezzare in toto un film che altrimenti sarebbe stato valido solo per 2-3 scene, mentre la restante parte fungeva da contorno opaco. Quentin si avvale di un gruppetto di attori di assoluto spessore e fama: l'ottimo Christoph Waltz che, abbandonate le vesti di generale SS del precedente film tarantiniano, impersona un particolare dentista tedesco che a tratti, nella prima parte del film, toglie i riflettori al protagonista Jamie Foxx (Waltz candidato ai premi oscar 2013 come attore non protagonista). Un Leonardo di Caprio nella parte del cattivo che, a sorpresa, gli riesce piuttosto bene e ce ne da prova in una scena topica del film. Samuel L. Jackson irriconoscibile nel ruolo del "maggiordomo-mentore" di colore del latifondista e schiavista Calvin Candie (Leonardo di Caprio), impersonando meravigliosamente lo stereotipo del vecchio nero, e stronzissimo, che ha sposato di buon grado la compagnia dei padroni bianchi e quindi di detestare e insultare i suoi simili (memorabile). Infine Jamie Foxx che non mi ha convinto molto, non per demerito suo, ma bensì perché è stato sovrastato dagli altri elementi presenti nel film. E a proposito di questo, una nota speciale alla colonna sonora è d'obbligo. Oltre ai vari omaggi di Tarantino verso le canzoni che hanno reso celebri i film di Django impersonati da Franco Nero (bella la scena del suo cameo) e pure il tema di Lo Chiamavano Trinità, non si può rimanere impassibili quando partono le prime note di "100 Black Coffins" di Rick Ross... una canzone hip-hop?!? Si, ma per quanto non c'entri nulla col film, si adatta maledettamente bene alla scena del film che la sorregge. Infine "Who Did That To You" di John Legend è sublime, una canzone che accosteremo per sempre a questo Django di Tarantino.
Inutile raccontarvi la trama, vi basti guardare il trailer per farvi l'idea, ma attenzione; come spesso accade questi filmati non rendono giustizia al film in sè, nella sua totalità, perciò guardatelo con riserva.

Se vi è piaciuto Il Grinta dei fratelli Coen e apprezzate la regia di Tarantino, non resterete delusi. Se invece siete fans sfegatati degli spaghetti western ed in particolare del Django originale, vedete di non partire prevenuti e godetevi semplicemente il vecchio West alla Tarantino, apprezzandone la musica e le scene d'azione. Ne vale la pena.

Voto: 8


venerdì 3 agosto 2012

Stuart Hazeldine: Exam


Otto candidati per un posto di lavoro tra i migliori che si possano immaginare. Peccato che nessuno sappia esattamente di cosa si tratti. L'unica cosa certa, è che porterà un sacco di soldi e per questo ognuno è disposto a tutto pur di avere la meglio sugli altri.

Le regole sono semplici: non rivolgere la parola alla guardia né al responsabile della selezione, non rovinare il proprio foglio. Ogni candidato ha davanti una domanda, per la quale è richiesta una risposta. Non lasciare la stanza. In tutti questi casi si verrà squalificati. Ottanta minuti per rispondere.

Tutti cercano di mettersi subito al lavoro, ma ciò che si trovano davanti non è semplice come si aspettavano. Ognuno ha davanti a sé un foglio. Per tutti, si tratta di un foglio bianco, che riposta unicamente il numero assegnatogli. Nessuna ulteriore indicazione, nessun indizio. Ma soprattutto, nessuna domanda.

Ai candidati non è però proibito parlare tra di loro e muoversi liberamente all'interno della stanza e così iniziano a cercare, tutti assieme, una soluzione all'enigma. I tentativi sono numerosi, ma nessuno di questi porta a risultati soddisfacenti. Con il passare del tempo crescono l'insicurezza e la sfiducia l'uno nell'altro. In un'escalation di tensione che sfiora la follia e che vede uscire dalla stanza uno alla volta tutti i candidati, solo uno supererà la prova, trovando la soluzione che, bisogna proprio che lo dica? Era davanti ai loro occhi fin dall'inizio.

A volte registi famosi fanno film inguardabili, altre volte registi in erba fanno dei grandi film. Questo è il secondo caso. Un esordio molto interessante e ben strutturato, capace a tratti di far saltare il cuore in gola, ma anche di far girare gli ingranaggi del cervello dello spettatore, fino all'ultimo desideroso di giungere a capo dell'arcano. Un buon prodotto nell'insieme, che vale la pena di esser visto, non solo dagli amanti del genere.

Cube - Trilogia

Primo vero e proprio lungometraggio di Vincenzo Natali, Cube è una produzione canadese del 1997. Già a colpo d'occhio si capisce che il lavoro non ha un grande budget, ma la sua forza non sta tanto in effetti speciali ed ambientazioni mozzafiato, ma piuttosto nell'opposto, cioè nel creare un'atmosfera cupa e claustrofobica all'interno di un ambiente pericoloso e apparentemente senza via d'uscita.

In quello che ben presto i protagonisti scopriranno essere un enorme cubo, le insidie sono maggiori di quelle che ci si possa aspettare e trovare un modo per scappare non è realmente così semplice come può sembrare in un primo momento. Il fulcro del film è, come già detto, di intrappolare lo spettatore in quella enorme macchina della morte, nella quale una manciata di persone a caso deve decidere se collaborare per trovare la via d'uscita o far valere la legge del più forte nella propria corsa verso la salvezza, sempre che esista.

Il film in sé si regge in piedi prevalentemente per le teorie matematiche su cui si basa, lasciando forse non sufficiente spazio alla caratterizzazione dei personaggi (ma comunque senza tralasciarla completamente), punto sul quale si sarebbe potuto insistere per creare un lavoro più completo. Ma l'innovazione che sta dietro il concetto di base della pellicola può essere sufficiente a non far scadere un prodotto che tutto sommato è gradevole e che non sente eccessivamente il peso di una produzione sicuramente non milionaria.

Lascia invece più spazio alla psicologia il secondo capitolo, Hypercube, di Andzrej Sekula del 2002, oltre a fare un uso più esteso di effetti speciali (a volte una piuttosto pacchiana computer grafica, ma che non cade nel ridicolo). Qui oltre ad avere un panorama più ampio sulle vite degli intrappolati, iniziamo poco alla volta a scoprire chi si cela dietro tutto ciò. Se nel primo film non troviamo alcuna spiegazione, nel seguito invece possiamo dirci soddisfatti di venire a capo di alcuni quesiti rimasti prima irrisolti.

Nel complesso anche il secondo capitolo si difende e porta degnamente avanti l'idea originale di Natali, aggiungendo ulteriori elementi come la struttura del cubo resa ulteriormente più complessa con l'inserimento di una quarta dimensione.





Di tutt'altra pasta è Cube Zero, datato 2004, per la regia di Ernie Barbarash, che avendo lavorato allo screenplay di Hypercube forse si sente in grado di scrivere e dirigere questo prequel veramente poco ispirato e noioso. Qui l'azione si svolge prevalentemente all'esterno del cubo, dove troviamo due semplici impiegati che devono lavorare alla sua gestione. Non dirò di più sul contenuto della pellicola perché rischio di farmi scappare qualche spoiler sicuramente poco gradito e mi limiterò perciò a sconsigliare questo film, un po' come i due seguiti di Matrix e dimenticarne l'esistenza. Vanno bene i primi due, il terzo è bocciato su tutta la linea.

sabato 23 giugno 2012

Drew Goddard: The Cabin In The Woods


Immaginatevi un mix (riuscitissimo) de La Casa 2 e The Cube e preparatevi a un'ora e mezza di comicità e horror vecchio stile come non se ne vedevano da molto tempo.


The Cabin in the Woods ha in sè tutti gli elementi per attirare gli occhi dello spetattore sullo schermo, inoltre a renderlo "originale" è la cornice entro la quale si svolgono i fatti. Il bosco e la casa di legno non sono altro che elementi all'interno di un laboratorio, isolato dall'ambiente circostante mediante un'invisibile rete magnetica. Un gruppo di ragazzi non potrà immaginare cosa gli aspetterà di vivere durante il week end al lago, presso la casetta di legno e ancora meno sapere cosa si cela sotto la superficie.

Il film, nonostante duri solo un'ora e mezza, è divisibile in due parti: la prima è un classico soggetto horror in linea con La Casa 2, da cui tra diversi spunti ma li sviluppa in un modo che è direttamente collegato con la seconda parte della pellicola, più sullo stile di The Cube per poi sfociare in un mix tra questi due film cult.

Insomma, non si tratta del solito horror anni '80 con un gruppetto di ragazzi che va a passare il fine settimana nel bosco, nulla infatti è lasciato al caso e, se è vero che molti elementi si ispirano a ben più famose pellicole clichè horror, riesce perfettamente nell'intento di dar vita a un nuovo genere di horror.

Lo spettatore avrà modo di godere di tutti gli elementi del caso durante la durata del film, scene comiche ma non banali, che vanno proprio a criticare le sceneggiature dei film horror di una volta (esempio: "dobbiamo dividerci così riusciamo a lavorare meglio" e il genio di turno risponde stizzito "ma parli sul serio?!"), poi scene di suspance e da slasher movie non mancheranno affatto e saranno di grande impatto.


Nella seconda parte invece avremmo modo di assistere a scene d'azione cariche di adrenalina, ma non voglio rovinarvi lo spettacolo a cui andrete ad assistere.



Voto: 8
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